mercoledì 1 dicembre 2010

Il pazzo

Il giorno poi che ho smesso di lavorare per me ed ho incominciato a lavorare per Dio  tutto è divenuto più semplice, tutto più chiaro. Non è il mio inutile fine utilitaristico a darmi motivazione a farmi muovere, ad impormi obblighi ed obbiettivi, è la sua voce ed io la sento. La sento da quel giorno che mi disse di non ingannare più. Ero disperato ed io l'ho ascoltata. Un passo silente, forte come il tuono, sottile come un filo d'acciaio, invisibile ma vitale: unica ancora di salvezza nel mondo impossibile da navigare altrimenti.. senza fari, senza stelle o con luci che sembrano stelle che fanno naufragare  grandi vascelli o interi continenti, un filo d'acciao nel nulla: a meno che io non decida di reciderlo o di ignorarlo che è la stessa cosa. Così pazzo da essere sincero, con se stessi addirittura per scoprire che in fondo è divertente, che siamo tutti uguali, noi, gli stupratori, gli assassini, i prepotenti, gli iracondi, i timidi, gli ingiusti, i sadici, i gentili, gli stolti i saggi, i mediocri. Qualcuno di questi che vive sul lato esposto alla luce, quello che si tiene alla vista del sole che tutti lo possono vedere; qualcuno che vive nell'ombra che il corpo getta inevitabilmente a partire dai suoi piedi dal lato che non è illuminato.  E ciò che lavora nell'ombra è pericoloso, perchè è convinto dell'impunità, della connivenza dello stato, di poter far qualunque cosa per se senza  pagarne le conseguenze: al buio di nacosto, non ci sono limiti a quel che si può pensare.. e poi dal pensare al fare che differenza fa se non un  altro pensiero; e poi un altro ancora per giustificare il precedente, quando ancora c'e' nè bisogno. Pazzo sono perchè a tutti voglio parlare, al torturatore, all'assassino, all'iracondo, al timido, all'ubriacone, all'uomo sofferente per vederlo sorridere, e la vita più non temo di perdere perchè già perduta la ho ogni volta che ho lasciato un compagno nell'ombra o nel delirio, ogni volta che non sono morto per aiutarlo o perso per ritrovarlo. Morto sono tutte le volte che ho pensato che la vita non  mi meritasse e l'ho abbandonata alla finta dimenticanza. Ma respira ancora il mio cuore contro la mia volontà, e tenendomi in vita, mi porta a teatro dove mi sento vivo, dove vedo la pazzia dell'anima avere sfogo, e ciò che le parole non possono dire assumere la forma di una ballerina intarisata nella nudità delle sue scanalature, tra gli avvallamenti dei muscoli e nella perfezione semplice del suo seno. La consapevolezza di essere pazzo è ciò che mi rende ancora vivo, la pazzia del capitano che rischia la vita e l'equipaggio per non abbandonare neppure l'ultimo dei suoi marinai,  che l'unità tra di loro è più importante della vita stessa del capitano. Pazzo domattina a svegliarmi e non sapere quel che sarà, ma sicuro che la nave potrà reggere o perirà nella lotta, ed in entrambi i casi  il problema sarà risolto, alcuni lo chiamano coraggio.


White Clay

martedì 16 novembre 2010

I magneti



Il gioco dei magneti, è un gioco antico. Ogni magnete ha per sua natura uno Yin e uno Yang, un positivo e un negativo, un sud e un nord. Non esiste magnete al mondo che non abbia entrambe le facce. Per quanto piccolo si riesca a spezzare un magnete, e lo dice la fisica, fosse anche di 5 atomi, ne avrà almeno due polarizzati in un modo e 2 nell'altro. Gli esseri umani, a mio avviso, o almeno la parte elettrica del loro cervello, conserva questa proprietà:  e questo credo sia vero per ogni sentimento, passione, o impulso che si possa manifestare al suo interno. Alcuni scienziati tempo fa hanno osservato che le zone del cervello interessate nel caso di sentimenti  contrastanti come ad esempio l'amore e l'odio, sono pressochè identiche. Dal punto di vista circuitale.. è una buona ottimizzazione da parte della Natura aver posto nella stessa regione di spazio tutto il necessario per procurare una serie di reazioni muscolari ed ormonali, per poi poterlo usare in un senso, o per il suo contrario: Yin e Yang. Stessa cosa diverso utilizzo, esiti diametralmente opposti, a seconda della direzione che sembra conveniente intraprendere.
Ho conosciuto persone giocare ai magneti, ed un pò forse ci ha sempre affascinati tutti il gioco delle calamitine.. che si seguono a distanza, anche attraverso un grosso spessore, o che si respingono con una forza che quasi non riusciamo a contrastare anche se le calamite sono piccolissime. A volte giochiamo ad attrarre, a volte a respingere,  e c'è chi si diverte come un bambino dispettoso prima sempre un pò ad attrarre e poi subito dopo a respingere.

White Clay

giovedì 4 novembre 2010

Buenos Aires senza meta - Lo spettatore [Parte 3]

Dopo un bagno caldo e un po' di frutta mi accorgo che non ho ancora cenato, decido allora che la giornata non è per niente finita e la destinazione di stasera sarà la Confiteria Ideal, la milonga più storica e più elegante di Buenos Aires. Ho poche forze e molta fame per cui mi affretto a chiamare un taxi ed a dargli le indicazioni precise. Come sempre poi però il gusto della scoperta e della novità prevalgono sugli istinti del corpo, e poco dopo mi ritrovo ad osservare rilassato le strade di Buenos Aires di notte che mi scorrono a fianco veloci, dietro il finestrino del taxi di Charlie, un giovane taxista con la guida da formula uno e la parlantina del venditore di emozioni per soli uomini.

Scendo dal taxi e mi sento subito osservato. Mi giro e vedo sull'uscio della milonga una bellissima donna, con un età indefinita dai 25 ai 30 anni che istintivamente mi sorride e mi saluta. E' accompagnata, ma non riesco a distogliere lo sguardo dal suo sorriso che ricambio senza staccare gli occhi dai suoi. Nelle sale da tango capita frequentemente di salutarsi anche se non ci si conosce.. E' un modo per sciogliere il  ghiaccio che si potrebbe creare tra perfetti sconosciuti al primo contatto. Dopo un saluto ed un poco di tempo, se per caso andassi ad invitarla a ballare non saremo più perfettamente estranei, saremmo quelli che si sono salutati venti minuti fa.. Sono contento di aver visto qualcuno di giovane qui attorno, cosa non scontata nelle milonghe di Buenos Aires, e dopo aver fatto il biglietto in quello che sembra l'ingresso di un vecchio cinema di marmo risalgo la scalinata che mi hanno indicato da dietro il bancone, anch'essa completamente in marmo.  Quando entro nella sala mi trovo al centro dell'attenzione. C'e' pochissima gente, una ventina di persone o poco più, e credo che a parte 5 o 6 turisti gli altri si conoscano tutti. Il fatto che ci sia poca confusione, mi rincuora abbastanza, farò meno fatica a ballare se non ci sarà traffico in pista;  per il fatto di essere al centro dell'attenzione mi importa poco, non ho mai ballato per gli atri, solo per me e la mia ballerina. Spero con tutte le mie forze che ci sia qualcosa da mangiare ho il fisico in riserva, ma la novità e la bellezza del posto mi tengono su, anche se dovessi saltare la cena. Mi siedo ad un tavolo sul lato sinistro della pista ed il cameriere mi nota, essendo l'unico oggetto alieno che si muove per la sala. Ci salutiamo con un gesto del capo e gli chiedo se ha una carta. Il mio stomaco pende dalle sue labbra e quando sente la risposta "Claro!"  ha un sussulto di contentezza. Ordino un paio di Empanadas (assomigliano ai nostri tortelli dolci, ma sono salati e con dentro uno spezzatino di carne e verdura). Non voglio mangiare tanto quanto desidererei.. voglio mantenermi lucido e pronto a ballare. Intanto noto che la mia presenza (sono vestito molto elegante) ha suscitato la curiosità degli habitué del posto. Li vedo curiosi di sapere chi sono: ed io li lascio fantasticare.. Potrei essere un professionista o un maestro , oppure un principiante allo sbaraglio, un gangster o magari il regista del prossimo film sul tango alla ricerca di volti nuovi. Sarà poi mia cura disilluderli al  mio primo ballo, sono solo uno studente volenteroso, che farebbe qualunque cosa per praticare ed imparare. Ma ora sono concentrato sul cibo.. l'annuncio del suo arrivo mi ha tolto la capacità di fare qualunque altra cosa, se non attendere il cibo. Arriva.. Non mi ci avvento sopra a testa bassa, anche perchè è bollente e poi ho gli occhi abbastanza puntati addosso. Mangio con calma e sorseggio la mia coppa di vino tinto, ma le mie mascelle hanno la velocità e la sicurezza di  chi non mangia da tempo. Convinco il mio stomaco che 2  empanadas sono sufficienti  perchè c'e' dentro la carne ed il vino rosso è calorico, così mi appresto a guardarmi in giro.
Nel frattempo gli habitué del posto hanno allestito un vero e proprio spettacolo per me. Si sono messi a ballare e qualcuno, diciamo il più bravo ed elegante della pista ha fatto un paio di ronde strette in prossimità del mio tavolo con la sua compagna e mi guarda spesso, per farmi notare la sua collaudata tecnica. Io dentro di me, mi sento molto grato di questo, sia per il fatto che mi sta considerando, benchè sia un misterioso nessuno, sia perchè sono venuto qui per questo, per vedere come la gente balla a Buenos Aires. Apprezzo molto l'ospitalità ed alla prima occasione di incontrare il ballerino esperto nel corridoio laterale, lo saluto con un  accenno di inchino che lui ricambia con eleganza: e questo è quanto avevamo da dirci per quella sera. Intanto avevo notato la ragazza che mi aveva salutato all'ingresso prendere posto con altre tre persone, in tutto due ragazzi e due ragazze, in un tavolino dal lato opposto del salone di marmo. C'e' poca gente in milonga e la ragazza dal sorriso stupendo sta scendendo in pista assieme ad uno dei suoi accompagnatori, mentre l'altra coppia li segue a ruota. La ragazza che mi ha salutato è molto bella e si muove in maniera sinuosa, col suo ballerino hanno uno stile di ballo molto vistoso ed ingombrante ma sono armonici e questo rende gradevole seguirli con lo sguardo. La coppia che li segue e con la quale sono entrati invece mi sembrano molto meno armonici ed avverto i loro scambi di energia troppo forzati, mi concentro sui primi.
Terminato il ballo e dopo qualche esitazione parto. Mi dico: "Non sarò mai più qui e ora. Ora è il momento di fare le cose". Dal momento che siamo praticamente gli unici giovani veramente interessati  al tango presenti in sala, circumnavigo la pista e mi presento al loro tavolo. Per rompere il ghiaccio provo con un complimento: "Ustedes es maestros?" ("Voi siete maestri?"). Con un po' di sorpresa mi dicono che lo sono, si presentano e mi fanno spazio per invitarmi a sedere con loro al tavolino: adoro i popoli latini. Facciamo due chiacchiere sul locale, sul fatto che ci siano pochi giovani a Buenos Aires che ballano il tango, e su una coppia di attempati, coreografici e scoordinati ballerini che sono ora a centro pista. Ci convinciamo che siano parte dello staff e siano lì per togliere l'imbarazzo di ballare a chiunque lo desideri, anche se poco o per nulla esperto. Cosi' leggermente divertiti, anche se un po' imbarazzati per il livello di ballo decidiamo di chiamarli "Allegria", che in spagnolo si scrive con una "l" in meno, ma la parola rende uguale. A sorpresa per me che non capisco bene lo spagnolo, le luci del locale si accendono ed il titolare del locale annuncia l'imminente l'esibizione dei ballerini al mio tavolo, che tra gli applausi generali del pubblico sta per avere luogo.

Finita la pregevole esibizione e con lo sfumare degli applausi le luci tornano basse come prima e la serata sembra volgere verso il termine, ma io mi gioco il tutto per tutto e chiedo alla ragazza dal sorriso magico, che ha da poco terminato l'esibizione, se le va di ballare con me, anche se sono solo un principiante. Mi sorride ed acconsente, sembra felice che glielo abbia chiesto e per la sua grande gentilezza è disposta a rischiare.  Le donne spesso seguono un istinto di cui ignoro i confini e questo non finirà mai di sorprendermi. La musica inizia e noi ci abbracciamo, come la tradizione richiede.

Sento la pressione del suo petto contro il mio, fisicamente stiamo per formare un'ombra sola. Il suo abbraccio è tenerissimo anche se è deciso nello stringermi a se. E' chiaro che non andremo da nessuna parte se non assieme, qualunque cosa accadrà la affronteremo assieme, ci affidiamo uno nelle braccia dell'altro, come se fosse una promessa eterna, e non pensiamo  che tra non più di tre minuti il tutto potrebbe finire. Inizio la prima apertura sfiorando con il mio piede sinistro il pavimento liscio, lei mi segue come velluto e sento il mio cuore battere forte come non aveva fatto mai, non veloce: forte. Le pulsazioni sono cosi' detonanti che sento scuotere l'intera gabbia toracica, e penso che le possa sentire anche lei. L'emozione è immensa, siamo in una città sconosciuta, nella milonga più storica, famosa ed elegante di Buenos Aires dove  tutto è marmo, intarsi dorati e musica e siamo praticamente da soli in pista. Il pubblico non è abbondante, ma se ne percepisce la presenza: sento che anche se ci fossero state altre 1000 persone lì a guardarci, non mi sarebbe importato, io ero lì per ballare con lei e nessun'altro essere umano su questo pianeta. Penso che se tutto quello che mi è costata la vita fino ad ora è servito solo per essere qui adesso con lei in questo momento, ne è valsa la pena. La musica comincia a chiamarci e noi la seguiamo; nelle scuole di tango insegnano che è l'uomo a "guidare"il ballo, a dare la "marcacion", la direzione. Ma quella volta non è stato così: il mio corpo non era più una mia proprietà privata, il quarantacinque percento era suo ed un quarantacinque pecento della musica, solo il restante dieci era rimasto mio: uno spettatore di prima fila. Le nostre guance si sfiorano e lentamente si appoggiano delicatamente una verso l'altra fino a che le nostre tempie vengono quasi in contatto; da qui in poi  il tempo non esiste più, o almeno io ne sono uscito. Conosco quello che all'università insegnano sulle leggi della fisica e dell'energia, e qualunque scienziato potrebbe dirmi che non lo posso dimostrare. Ma io posso sentire il contatto del pavimento attraverso i suoi piedi.  Quando ci fermiamo da un passo rapido in una figura più lenta e lei sfiora il pavimento di marmo fresco e leggermente ruvido, io ho gli occhi chiusi e sento la suola delle sue scarpe disegnare sul pavimento: ma la sento dall'interno della sua suola e sento la sensazione di borotalco che la povere depositata sul fresco del marmo regala. Senza un volere cosciente la imito e faccio dei piccoli cerchi simmetrici ai suoi con il mio piede destro per comunicarle la stessa sensazione di piacevolezza. Mi ero sempre chiesto perchè i ballerini facessero quegli sfioramenti coi piedi sul pavimento, ora lo so: quando due anime arrivano ad essere così vicine, è come concedersi la carezza più tenera e più intima che ci si possa scambiare in pubblico. Sento il collo caldo e umido dal suo respiro; se stessimo facendo l'amore, questo sarebbe uno di quei momenti magici in cui i due corpi diventano una sola cosa. In media un tango dura dai due ai tre minuti, ma in questo caso il tempo è stato fuori da noi e solo il finire della musica ci riaccompagna come una carezza al centro della pista, dove avevamo lasciato i nostri corpi nel loro primo abbraccio. Spero ardentemente che le sensazioni che ho avuto con lei non siano state solo mie, lei è una ballerina professionista e chissà con che ballerini meravigliosi avrà ballato. Ma lei non si muove, rimane rilassata aderente al mio petto, sento forte il suo calore e il suo profumo, e quando dopo poco lentamente ci separiamo ha gli occhi sorridenti e lucidi. E'un po' sorpresa come lo sono io d'altronde, fino a un ora fa eravamo due che si sono salutati sull'uscio. Mi  sussurra con un filo di voce "Muy lindo..", a me scoppia il cuore, e ci viene da sorridere come due bambini che hanno appena scoperto un nuovo giocattolo. Qualcuno tra il pubblico applaude, pensa abbia fatto un esibizione anch'io,  e non si rende conto invece che io ero uno spettatore come lui. Mi vergogno un po' di aver vissuto quel che ho vissuto con una donna sposata in pubblico a pochi metri da suo marito, ma è stato solo un ballo, ed in milonga si va per ballare. Occhi umidi e cuore a mille, ora per me è impossibile proferire parola: la parte più difficile sarà tornare al posto facendo finta che non sia successo niente. Per fortuna loro stanno conversando al tavolino di qualcosa che gli interessa molto, perchè io non riuscirei a parlare nella mia lingua figuriamoci in una straniera. Cerchiamo di non incrociare gli sguardi, ma la vedo sorridere molto ed ha gli occhi ancora un pò lucidi. Io ora sono poco di compagnia, rispondo con sorrisi e frasi di circostanza, e mi chiedo se la vita possa anche essere così bella. Un risposta non ce l'ho, e mi guardo bene dal cercarla: tengo la bocca chiusa perchè voglio quest'emozione con me per sempre.

White Clay

mercoledì 20 ottobre 2010

Buenos Aires senza meta - Persone [Parte 2]

Questa volta sono riuscito ad arrivare con dieci minuti di anticipo, e mi posso godere il museo. Nella Galleria Pacifica, una specie di elegantissimo centro commerciale che si trova tra l'avenida Florida e la Cordoba di Buenos Aires, al secondo piano c'e' una sorpresa. Dal caos di persone della strada si passa al caos di persone e luci della galleria, ma al secondo piano, e me l'ha detto il portiere dell'albergo, c'e' un centro culturale chiamato Borges. Entrando qui si trova un grande spazio vuoto e popolato solo da una libreria e qualche quadro, la gente qui non va in massa, c'e' troppo silenzio. Io mi insinuo. Sto cercando tutti i posti dove mi possano insegnare del tango. In fondo a questo stanzone c'e' una specie di reception ed alle sue spalle solo una scala mobile. Nel mio straordinario spagnolo chiedo "Està una escuela del tango cerca de aquí?" ("C'e' una scuola di tango qui vicino?"). La ragazza capisce immediatamente che non sono del posto e mi indica l'unica direzione possibile, la scala mobile. Salgo e ci sono delle guardie anche qui; al piano di sopra l'atmosfera è differente.. non siamo più nel caos di Buenos Aires, c'e' silenzio, stanze giganti, luminose e ben isolate. Comincio a  girare per visitare un pò e dopo poco chiedo ad una guardia "Por la esquela del tango?", e lui mi indica l'ingresso di un museo. Entro, tanto non si paga, e mi inoltro nel silenzio e nella scoperta.. Trovo estremamente gradevole e civile l'ambientazione, e sperare che la scuola si trovi proprio al centro di un museo mi rende la cosa ancora più magica. Cammino, osservo.. a me i musei non sono mai piaciuti, li ritengo noiosi, però mi piace la calma che vi regna dentro.. Avvicinatomi all'uscita dalla prima sala, eccola: la musica!! Ho già capito ormai da più di un anno, che ovunque io senta questa musica, la musica del tango, uguale in Italia come in Argentina o nel resto del mondo, io sono arrivato a casa: so quel che devo fare, non devo piu' preoccuparmi di girare e mi sento sempre e comunque al sicuro. Quindi oggi che conoscevo la strada sono arrivato un po' prima per godermi 10 minuti di stupendo far niente in un museo, pregustandomi il piacere delle lezioni che avrei preso da li a poco. Uno scrittore chiamato Gotthold Lessing diceva che l'attesa di un piacere è essa stessa un piacere, ed io c'ho fondato la mia vita su questo argomento :)

Le lezioni, 4 ore in tutto, passano più o meno veloci, le partners sono molto diverse, e di sicuro qualcuna di esse non continuerà il tango,ma era lì solo per curiosare: ma non mi importa la fatica, voglio lavorare sul mio corpo e fare esperienze il più possibile, quindi terminate queste mi godo un pezzo di torta al ciococlato con un bel the caldo speziato orientale al bar di sotto. Intanto mi preparo a raccolgliere le energie per le altre due ore di allenamento che mi attendono nel barrio (quartiere) San Telmo. Ho tempo, quindi decido di non prendere il taxi e di andarci a piedi: questo in seguito si rivelerà un grossolano errore di valutazione. San Telmo di notte non è percorribile a piedi da un turista, ma di giorno si.

Ho calcolato male le distanze e mi trovo all'imbrunire, molto lontano ancora dalla scuola dove devo andare e dove sarò al sicuro. Nel passaggio dal giorno alla notte c'e' una zona intermedia,e  questo vale anche per le persone che popolano la calle (strada). Per un tempo anche troppo lungo per la mia mente, ma che nella realtà non sarà durato più di un ora, ho la sensazione di trovarmi all'inizio di un film dell'orrore, maledetta televisione!! I normali lavoratori vesiti decorosamente che circolano durante il giorno stanno cedendo il passo alle persone che ora andranno a frugare nella spazzatura ciò che i primi hanno abbandonato durante il giorno, per cercare qualcosa da mangiare o da riciclare. Singolarmente difficilemente sono aggressivi, ma dopo una certa ora quando si ritrovano in branco e bevono, allora è meglio non essere uno straniero che passa di li. Ho proprio sbagliato i tempi e le distanze, ed ora sta diventando buio.
Ci siamo. Quello che non volgio più di tutto è pensare attraverso la paura e attraverso i miei pregiudizi, e su questo sono disposto a quanto pare a giocarmici la vita. Guardandomi indietro nel passato mi accorgo che ho sempre rischiato la vita di tanto in tanto: non ho mai capito perchè lo faccio, forse per una fievole rivalsa verso la paura che in  tutto ci domina e ci chiude in un guscio dentro il quale dopo poco, mancano novità e ossigeno. Ecco col mio becco, ogni tanto, è come se cercassi di fare un foro in questo guscio, per respirare un po' dell'aria che c'e' veramente fuori dai miei pregiudizi e dai miei pensieri abituali: quindi continuo a camminare. Non sono uno sprovveduto, ed almeno metto su un passo da marines e tengo la muscolatura delle spalle sciolte e calde per qualunque evenienza: ma gli occhi e le orecchie sono il  mio vero contatto con la realtà fuori dal guscio,  di loro mi fido. Voglio credere di essere ancora in un mondo di persone, anche se affamate, e che riuscirò a capire in anticipo ed eventualemnte a gestire, indipendentemente dall'esito, qualunque situazione mi si presenti. So che essere qui a camminare contro la mia paura ed i miei pregiudizi è più importante di me, forse è lo scopo del viaggio, quindi proseguo. Qualcuno mi chiede qualcosa, ma i suoi occhi sanno di minaccia, rispondo no grazie e continuo il mio passo. Sto tenendo un livello di energia molto alto, e chiunque mi veda arrivare sa che dovrà affrontare un combattimento prima che io cada.Tengo la paura fuori da me e cammino.

Arriva un furgone bianco in contro mano, mi nota o cosi' mi sembra. Senza fermarsi, poco prima di incrociarmi rallenta praticamente a passo d'uomo e apre il portellone scorrevole,  dalla parte dove sono io. Da dentro emergono quattro uomini molto robusti che mi guardano. Istintivamente li guardo e guardo le loro mani,la loro forza è di molto maggiore ripetto alla mia, in caso di scontro diretto non avrei speranze ragionevoli. Ci guardiamo dritti negli occhi senza fermarci. Potrebbeero anche essere dei muratori che tornano dal lavoro, ma perchè hanno aperto il portellone proprio nella mia corrispondenza ed hanno rallentato. Sono pronto a lottare sia con la mente che con il corpo, ma spero di non doverlo fare oggi, sono troppo in svantaggio. Ho già corso dei rischi, però ora è come se sentissi  dentro che il mio giorno non è oggi, e questo mi rincuora quel tanto che basta. Poco prima che  mi oltrepassino distolgo lo sguardo dai loro, all'ultimo momento, per non cercare la sifda, ma mi sento disposto ad affrontare qualunque epilogo. Dal mio sguardo e dal mio portamento, spero che abbiano capito che venderò cara la pelle.  Proseguono, con il portellone aperto, in attimi che mi sembrano lunghissimi, dilatati: passano oltre. Non saprò mai se ho lottato solo con la mia paura o la sorte ha deciso che devo fare ancora qualcosa in questo mondo prima che venga il mio tempo. Allora continuo, non posso fare altro. Mancheranno ancora 15  minuti alla scuola, ho l'adrenalina a 1000 e sto consumando molte energie.  Non voglio aver fretta di arrivare, è un lusso che non voglio e non posso permettermi: se dovrò morire, lo farò qui ora e adesso, mentre sto inseguendo il mio sogno sulle mie gambe al pieno delle mie forze, oggi non accetto scorciatoie ne che la paura mi domini di nuovo, mi  ha già rovinato l'esistenza quanto basta.

Riconosco la strada, mancheranno 30 metri alla scuola, dentro sarò al sicuro, anche se ora ho piu' poche energie; ma non accellero, oramai ho vinto nella mia mente. Vedo esseri umani, non vedo zombie nelle persone che stanno popolando la strada ora per cercare qualcosa con cui sopravvivere. Vedo persone. Arrivo davanti alla porta della scuola, ma è chiusa. Suono il campanello e poi noto un cartello che dice che la lezione di oggi è annullata. Non mi arrabbio, forse è meglio così, ero troppo stanco per affrontare altre due ore di allenamento.  Ho letto su internet che a soli due isolati da qui c'e' un "festival", una sagra del barrio S.Telmo dove ballano tango, e so che durante i festival, anche i turisti possono circolare e sono al sicuro. Dato che sono venuto fino in Argentina, mi faccio anche questi due isolati, voglio vedere il tango della gente, quello vero per la strada. Di nuovo ho considerato male le distanze, o è la mia stanchezza  che le ingigantisce. Però ora sono su una via principale, e qui qualche taxi ogni tanto si vede, anche se passano molto veloci. Non mi sento perso, so dove sto andando, solo che è più lontano del previsto. Vedo gente accumulata in una via, deve essere qui vicino. Sì era qui, ma sta terminando, e stanno smontando le bancarelle e tutto è di nuovo troppo buio perchè io possa abbassare la guardia. Mi imbuco lo stesso, non posso mollare ora che ho fatto tanta strada, ma sento le forze andare in riserva; devo aver chiesto troppo al mio corpo e lo ringrazio per lo sforzo che ha fatto. Avanzo con scioltezza un poco contro il mio istinto di sopravvivenza, e anche qui vedo le persone che vivono per la strada, iniziare il loro turno. Cammino ancora, ma sento che non potro' resistere  molto più a lungo senza trovare una meta. Attraverso uno spigolo che si affaccia su una piazza e mi arrivano un paio di note.. non ci posso credere.. sono arrivato!! mi avvicino ancora di più oramai  in preda al sogno: è la musica del tango quella che sento, e loro stanno danzando: ora sono al sicuro.

Entro in un bar e chiedo un "Sumo de naranja natural" una spremuta d'arancia fresca e mi siedo. La cameriera mi dice che da li a poco sarebbe iniziato uno spettacolo di tango, su un palchetto improvvisato in fondo alla sala. Lo sapevo ho fatto tanta strada ed ora mi sento di nuovo a casa. Ci sono molte persone al bar tavola calda, tutti sono in compagnia e quasi tutti mangiano. Io sono troppo stanco per mangiare, però sento che avrei bisogno di compagnia anch'io. Provo a comunicare con  le due ragazze sedute al tavolo al mio fianco, una  è divertita dal mio goffo presentarmi, l'altra stassera non è uscita per fare conoscenze,e probabilemnte gradisce una serata tranquilla con la sua amica. Cosi' faccio due chiacchere con gli artisiti che si andranno ad esibire da li a poco sul palco,perchè in fondo loro fanno quel che vorrei far io da grande, vivere di tango. Le esibizioni sono gradevoli, anche se pare che io sia l'unico a seguirle con interesse, ed intanto sento le mie forze ritemprarsi. Saluto, faccio un paio di foto con gli artisti e mi ri dirigo verso il festival all'esterno. Le mie gambe mi chiedono di non domandare un ballo, per un paio d'ore almeno, ed oggi hanno proprio raigone loro. Sicchè mi fermo a guardare un po': il livello è popolare, c'e' qualcuno molto bravo ma  anche gente comune, potrei tranquillamente ballare anch'io se non avessi esaurito le scorte.
Un taxi. Non ci posso credere, un taxi qui. Lo fermo al volo mi accomodo sull'ampio e comodo sedile  posteriore di pelle,e sono convinto che me l'abbiano mandato dall'alto questo lussuoso taxi. Gli snocciolo nel mio spagnolo perfetto "Hotel Hillios, calle Laprida en el cruz con la Pena". Del viaggio di ritorno non ho memoria.. mi sembrava di stare in un sogno, e per ora basta emozioni. [continua..]

Whyte Clay

giovedì 14 ottobre 2010

Buenos Aires senza meta - La vetrina [Parte 1]

"Navaro" così dice la targhetta di bronzo del trolley che sto seguendo senza volere. Visto con una certa superficialità sembra un viaggiatore anonimo come tanti, con l'impermeabile marrone lungo poco sopora le caviglie, i capelli grigi e l'andatura decisa. Poco dopo senza un desiderio cosciente espando la vista e mi rendo conto che quel trolley è incredibilmente consunto. Ha le cerniere praticamente tutte divelte, è pieno di macchie dovute alla lunga vita e le rotelline sono cosi' ridotte da sembrare quasi più che torsoli di mela che ruotano veloci attorno ai loro sottili piccioli. Concentro lo sguardo sul viaggiatore: è alto, sarà un metro e ottanta, ma è piuttosto ingobbito. Ho l'impressione di trovarmi davanti ad un comune padre di famiglia che torna a casa dopo una lunga giornata di lavoro impossibile, alla ricerca solo un po' di consolazione e di ristoro tra gli affetti e le abitudini della casa, anche se però ora è solo mattina. L'impermeabile è molto stropicciato e quelle  scarpe hanno fatto molti chilometri, troppi; realizzo, è un uomo che ora vive per la strada o meglio per una delle "calle" che intrecciano Buenos Aires.

L'impermeabile è pulito.. non riesco a capire come sia possibile, ma è riuscito a trovare il modo per lavarlo, certo non stirarlo, ma comunque non puzza ne è macchiato. Noto la dignità di un padre nel suo portamento, la forza degna di un uomo che prima deve pensare agli altri, alla sua famiglia prima che a se stesso.
Non mi ero sbagliato, si ferma a controllare un cestino della spazzatura lungo l'Avenida Corrientes: noi neppure immaginiamo quello che la gente ricca getta via di ancora utilizzabile o riparabile. Lo olrtepasso, e sento il freddo come una lama attraversarmi il petto.. Non posso fare a meno di pensare: "Non è giusto. Non sono migliore di lui, solo la sorte ci separa". Immagino che potrei essere io, con la sua stessa dignità, senza chiedere niente a nessuno, se solo avessi avuto in sorte la sua storia. Sogno di aiutarlo in qualunque modo, dargli dei soldi.. ma sento che la sua composta dignità non lo farebbe sentire a suo agio.. a modo suo, sta lavorando. Ha trovato qualcosa che ora sta mettendo nel trolley, probabilemte sa che forse  gli permetterà di guadagnarsi un pezzo di pane anche quel giorno, ed io non ho il coraggio di incrinare la sua dignità. Gli occhi mi si stanno riempiendo di lacrime, ma non importa sto camminando tra questo popolo latino e malinconico, che se anche scorgesse delle lacrime sul mio volto avrebbe al cortesia di distogliere lo sguardo e lasciarmi smaltire il mio pensiero, nella privacy del mio camminare: ci sono molti sguardi offuscati di questi tempi che girano per le strade di Buenos Aires.

Un minuscola idea improvvisa inizia come una piccola stella appuntita a emettere luce tra la mente e il cuore. E' molto piccola, ma forse si può fare.. Io dalla mia parte  ho un piccolo vantaggio: sono un pazzo, sono cosciente di esserlo e sono da solo. E questo mi da molta libertà di movimento.. Devo fare in modo che nessuno se ne accorga, e devo farlo nel tempo giusto, ne troppo presto ne troppo tardi. Mi fermo e non lo guardo direttamente. Solo con lo sguardo periferico, per sapere dov'e' e quando terminerà l'analisi degli oggetti del cestino precedente. Mi giro senza dare nell'occhio ed ora gli volto le spalle; dal portafoglio come se dovessi controllare qualcosa estraggo rapidamente 100 pesos: la pazzia quando la accetti è un potente alleato, ti rende rapido.. ripongo il portafoglio in tasca e tengo i 100 pesos arrotolati nel palmo della mano in modo che non siano visibili dall'esterno. Ora attendo, faccio finta di aspettare un auto o un taxi.
Non lo so se ce la farò, tutta la vita è una scommessa ma oggi mi va di giocare.. Attendo ancora devo cogliere il momento giusto ed accettare il rischio che il mio piano non vada a buon fine. Ecco.. ha finito col cestino precedente, ora prosegue spero per il prossimo. E' il mio turno, tocca a me recitare la mia parte.. faccio finta di avere delle cartacce in tasca, e ne ho per fortuna, di quei volatnini pubblicitari che ti lasciano ogni 10 metri per le strade della metropoli. Metto le mani in tasca con l'inetnzione di liberarmi del carico di foglietti e faccio "un fondo" nel successivo cestino dell'immondizia.. Ora ho già la scusa per avere le mani nel cestino, ed appogiarci dentro la banconota da 100 pesos è un gioco da ragazzi, risalta bene sullo sfondo bianco tra le cartacce. Mi allontano come se avessi da fare un'altra cosa, e spero che la scelta dei tempi sia stata quella giusta. Il viaggiatore sembra che prosegua il suo percorso diritto per la via, ho perso.. Ma all'ultimo momento lo vede anche lui: il cestino successivo.. Intanto io comincio ad allontanarmi, ma nel farlo faccio finta di guardare un po' le vetrine e questo mi permette di vederlo con la coda dell'occhio. Le sue mani sono divenute più rapide subito e più lente dopo.. non le toglie dal cestino, per non far vedere quel che ha trovato. Si guarda attorno con sospetto misto a incredulità e stupore, io sto guardando ancora la vetrina di non so cosa e faccio di tutto per non ricambiare il suo sguardo quando passa su di me. Ho solo pochi secondi per gustarmi il frizzare di emozioni che gli staranno passando nel cervello in questi istanti, ma non voglio assolutamente che mi colleghi a quel fatto. Un uomo di quella dignità deve avere solo ricompense che vengono dall'alto,  non certo da un nessuno ben vestito come potrei essere io. Proseguo la mia strada piano e poco dopo riprendo il mio solito passo spedito, devo fare ancora molta strada oggi e altre 6 ore di allenamento. Oggi non è stata sprecata, oggi sarà per sempre il giorno della vertina che non ho visto, del mio cuore che ha prevalso sulla mia mente, e per lui oggi sarà per sempre il giorno dei 100 pesos mandati da Dio perchè in fondo sapeva di essere in debito con la sua dignità. La vita certi giorni è proprio divertente. [...continua...] 


White Clay

lunedì 13 settembre 2010

Nel dojo [3^parte]

La doccia spesso è la parte migliore dell’allenamento, o almeno quella che dà maggiore soddisfazione specialmente in quelle giornate in cui si finisce spesso con il culo per terra. In Giappone per quanto mi sforzi di essere veloce nel fare la doccia sono sempre l’ultimo, i giapponesi hanno uno strano rapporto con il bagno, sono estremamente puliti, ma se da un lato amano stare immersi in una vasca di acqua bollente per ore dall’altro sembrano detestare la doccia, la vivono come un obbligo più che un piacere. Anche questa volta sono l’ultimo ad uscire dagli spogliatoi, qualcuno se ne è già andato, così lascio le chiavi dell’armadietto all’ingresso e recupero le scarpe e anche in questo, neanche a dirlo, i giapponesi hanno una tecnica speciale, se le infilano in tempi record, io invece arranco e saltello con il tallone ancora fuori.

ramen

Alla fine riesco ad uscire dalla palestra, molti sono già sulla via di casa, ma Kenshin mi sta aspettando, decidiamo di andare in una spaghetteria specializzata in Ramen. Il ramen è stato importato dalla Cina molto tempo fa ed è diventato tra i piatti più popolari in Giappone e uno dei miei preferiti.  Per i giapponesi la preparazione del ramen è diventata un’arte (come in molti altri casi) e dentro una fondina di spaghetti non c’è solo pasta ma una filosofia. Il locale è piccolo, con pareti in legno scuro, c’è un bancone al centro con pentoloni fumati appena visibili, i clienti si siedono intorno, consumano la loro zuppa e se ne vanno. Noi ce la prendiamo comoda, ordiniamo doppia dose di spaghetti e iniziamo a chiacchierare spaziando dalla cottura della pasta alle arte marziali. Il caldo si sente ancora, ma davanti ad una tazza di the verde freddo è molto più sopportabile, parliamo e beviamo fino all’arrivo degli spaghetti.  Kenshin mi fa notare che dentro la fondina c’è una sintesi del Giappone, il mare rappresentato dal pesce e dalle alghe, il cielo dalla carne di pollo e uova, le montagne con funghi e carne di maiale, il tutto armonizzato con il brodo e gli spaghetti, il pasto non va solo mangiato, ma anche osservato e quindi anche la vista deve avere il suo momento di godimento. E così tra uno spaghetto, un’alga e un pezzetto di carne Kenshin mi ha rifilato il “compito per casa” .

Continua

Simone Mago

giovedì 9 settembre 2010

Il ballerino con gli occhi chiusi


Perchè tenerli aperti più del necessario. Ovvero quel tanto che basta per fare una previsione dei movimenti e poi basta. Viene forse dalla retina quel meravoglioso turbinio di sensazioni ed emozioni che si percepiscono stringendo la passione e l'ardore di una bella donna al petto? Viene forse dagli occhi quella sensazione di percezione dell'interezza del suo corpo, in tutta la sua morbidezza o nel incedere sensuale del suo passo assieme alla torsione dei busti? Viene allora dallo sguardo la percezione del ritmo, della frase musicale, dei passi che si appoggiano guidati dalla melodia? Ora, capisco che la tradizione e la scuola debbano dire di tenere gli occhi aperti, perchè se dicessero che si possono chiudere, di fatto autorizzerebbero gli autoscontri.. Ma io che ho più sensi con gli occhi chiusi che con gli stessi aperti, non posso espandere la mia anima fino all'infinito se ne vedo i confini.. non posso percepire ogni suo singolo sussulto, se devo guardare altrui o il pubblico.. Un'occhiata fugace, ecco al più ciò che mi posso permettere.. una visione che non vede, se non presenze o ostacoli seppur che tutto è movimento..

White Clay

sabato 28 agosto 2010

Nel Dojo [2^parte]

Il dojo a differenza degli spogliatoi non è climatizzato, quindi ogni gradino che salgo per avvicinarmi all’ingresso mi fa apprezzare sempre di più il caldo e l’umido di questo clima tropicale. La sala è all’ultimo piano dell’edificio, il legno del pavimento è talmente lucido e pulito da riflettere il colore verde pastello delle pareti, sembra uno stagno e mi dispiace calpestarlo. A sinistra dell'entrata ci sono delle finestre da terra al soffitto che permettono di vedere i tetti delle case, qui non ci sono grattaceli ma solo casette di due o tre piani, alcune con i panni stesi altre con i futon buttati oltre la balaustra del balcone. Con un po' di coraggio faccio un passo, entro...un inchino e sono in un altro mondo, ora riesco a sentire il profumo del legno, il suono dei piedi sul pavimento e del cotone delle divise, il caldo è tropicale: bollente e umido, il buon senso vieterebbe di "riscaldarsi" come stanno facendo gli altri e tantomeno di allenarsi tutto il pomeriggio, ma oggi ci si fa male. Come da tradizione passo a presentarmi con tutti, inchini, qualche stretta di mano e inizio a fare stretching per conto mio, dopo 5 minuti sono già bisognoso di una doccia e non vedo l'ora di attaccarmi alla bottiglia di acqua e polase, ma la devo dosare, l'allenamento è lungo e l'acqua poca.
Dopo un paio di inchini si inizia con il riscaldamento vero e proprio, poi si passa alle tecniche. 
Quando si inizia a sentire la fatica la si può localizzare in un punto preciso, un braccio, le spalle, oppure le gambe, conosco gli effetti e ormai li aspetto, dopo un po' smette di essere localizzata e diventa un malessere diffuso e il caldo umido accelera la transizione e ne amplifica gli effetti. La casacca è completamente bagnata, come se fosse stata immersa in una tinozza d' acqua, le gambe stanno perdendo di elasticità e il pensiero oscilla tra il dolore fisico e la concentrazione necessaria per la tecnica...sto iniziando a farmi male. 
Dopo una breve pausa per bere inizia il lavoro a coppie, così inizio a guardarmi attorno in cerca di un compagno, incrocio lo sguardo di Kenshin ed è chiaro che mi stava cercando....oggi ci si fa male. Kenshin è uno degli assistenti più esperti, avrà circa una quarantina di anni e nonostante sia il più giovane tra gli assistenti è rispettato anche dagli anziani, ha un fisico robusto con braccia e mani forti, lo sguardo è sereno e fiero come quello di un samurai...o meglio di come io lo immagino. Dopo qualche decina di minuti di tecniche abbastanza complicate passiamo alle prese, afferro Kenshin per il bavero lui si libera e mette in leva il mio braccio, il dolore lo sento partire da polso e arrivare fino al gomito, ma riesco ancora a muovere la spalla così riesco a liberarmi chinandomi e passando sotto le sue braccia che mi stanno spremendo la mano...ce l'ho fatta l'ho fregato, ora è lui in leva, ancora qualche secondo e non avrà spazio di manovra, ma quasi all'ultimo istante si butta a terra assecondando la mia leva e io mi trovo proiettato in aria....sono messo male, sto per farmi male. Quando atterro il legno non mi sembra tanto bello come all'ingresso nel dojo, sono a terra, Kenshin si è rialzato e mi guarda sorridendo...mi ha fregato ancora, aspetto qualche secondo prima di muovermi in modo da far passare il dolore dalle ossa e dai muscoli, cadere da stanchi è il peggio non si ha nemmeno quel minimo di energia necessaria a rendere la caduta "rotonda", così all'impatto con il terreno ogni spigolo del corpo riceve la sua dose di dolore...oggi mi sono fatto male.
Dopo più di tre ore di fatica l'ultima caduta mi ha dato il colpo di grazia, ma almeno sono riuscito ad arrivare alla fine della lezione, trangugio l'ultimo sorso di acqua ormai a temperatura ambiente, sembra di bere del brodo, la finisco non per il piacere di dissetarmi ma per evitare di lasciarne un goccio nella bottiglia. 
Non vedo l'ora di buttarmi sotto la doccia, forse l'acqua fresca mi aiuterà a capire come ho fatto a finire ancora una volta con il sedere per terra con Kenshin che mi guarda dall'alto sorridendo.


....Continua


Simone Mago

sabato 7 agosto 2010

Nel Dojo [1^parte]

Il sole entra da uno spiraglio delle tende, è ora di alzarsi, cercando di evitare le valigie raggiungo la finestra, la gente sta già correndo nella stazione della metro, a giudicare dal sole e dalle facce delle persone fuori deve fare davvero caldo...oggi ci si fa male.
Ho tutto il tempo di preparare la borsa con calma, dogi, cintura, accappatoio (che qui nessuno usa) e tutto il resto, me la carico sulla spalla e esco dalla stanza. All'uscita dell'albergo mi preparo alla botta, sto per passare dai 20° dell'aria condizionata ai 30°umidi di Tokyo, prendo un respiro cercando di trattenere il fresco e le porte automatiche si aprono, faccio 10 metri verso la stazione è ho già bisogno di un'altra doccia....oggi ci si fa male. Il percorso ormai lo conosco bene, hotel, metropolitana, qualche fermata e un paio di vie nei sobborghi e si arriva al dojo. Esteticamente parlando sono quanto di più lontano dal giapponese medio eppure, mentre cammino immerso in questo stormo di impiegati, studenti, casalinghe e pensionati mi sento perfettamente mimetizzato, a mio agio, potrei quasi addormentarmi sulla metropolitana, ma adesso non posso, devo essere sveglio, pronto a reagire...oggi ci si fa male. Finalmente sono arrivato alla stradina che mi porta al dojo, l'aria condizionata della metropolitana è un lontano ricordo, sento il caldo dell'asfalto attraverso le scarpe, non vedo l'ora di toglierle; appena entrato nella palestra eseguo il solito rito con maniacale precisione, non vorrei fare incazzare nessuno, mi tolgo le scarpe all'ingresso, le appoggio in un armadio e vado a prendere una chiave per l'armadietto negli spogliatoi e come sempre il portinaio sgrana gli occhi quando firmo il foglio delle presenze. Per paura di arrivare tardi sono in tremendo anticipo, ho il tempo per mangiare qualcosa ,così seduto sulle poltroncine all'ingresso con i piedi appoggiati sul pavimento fresco, mi divoro un paio di onigiri aiutandoli a scendere con un the freddo amaro, ho bisogno di energie...oggi ci si fa male. E' ora di prepararsi,  inizio a cambiarmi nello spogliatoio davanti al mio armadietto e  provo la solita sensazione piacevole che mi accompagna anche qui, così lontano dalla solita palestra, durante il "rito" della vestizione. I pensieri del quotidiano se ne vanno mi concentro solo i gesti di quel momento, mi infilo i pantaloni e poi la casacca mi piace sentire il cotone fresco sulla pelle, stringo la cintura un paio di  boccate di aria condizionata e sono pronto a salire le scale che portano al dojo...oggi ci si fa male.


....Continua

Simone Mago

venerdì 6 agosto 2010

La mano sul pavimento

Qunado vieni colpito allo stomaco durante un incontro di box e per caso proprio in quel momento avevi gli addominali rilassati, ti accasci come un cuscino vuoto. Non puoi fare altro che inginocchiarti e piegarti su te stesso, consapevole che prima o poi passerà, anche se magari ora non ti sembra. Fai qualche timido respiro.. e piano piano poi il sangue e il fiato ricominciano a circolare come prima, un colpo di tosse e tutto riassume la sua dimensione - "Asino!! Ti sei fatto fregare proprio come un asino.. Vediamo di non ripetere l'errore a breve.." - Hai ancora 6 secondi per riprenderti, che magari da fuori possono sembrare pochi, ma per il tuo metabolismo, per il tuo allenamento, per la tua energia sono un riposo di lusso durante un match - "Perchè sono venuto qui? Tu lo sai perchè siamo venuti qui.. perchè il tuo fisico sta bene, ed ha voglia di combattere, null'altro.. solo per vedere chi è il piu' forte, chi ha più volontà, chi si è allenato meglio" - "E allora, visto che mi sono preso la briga di mettermi le scarpe, i guantoni e il paradenti forse è il caso di pareggiare i conti con lucidità, senza lasciare nulla al caso". Appoggio la mano sul pavimento, prendo un altra boccata d'aria per riposare e mi alzo - "Dov'eravamo rimasti..?".

White Clay

giovedì 29 luglio 2010

Codardo - Parte 1

Lei è lì appena dietro lo spigolo del chioschetto che ora funge da bar proprio vicino alla pista da ballo. Non ci possiamo vedere da questa posizione, ma so che lei è lì.
Credevo proprio di fare un volo radente la settimana scorsa quando sono passato dal bancone a ordinare un succo d'arancia, darle una battuta veloce per vederla sorridere un pò, e poi volare via leggero e spensierato come se nulla fosse accaduto. E invece lei mi ha sorriso.
Ma prima di questo forse c'e' stato dell'altro.. Credo che sia stato a causa alla delcezza della sua voce o da come muove le mani, o forse per via dei suoi passi leggeri ed erotici allo stesso tempo, come se non ci fosse una distinzione tra i due concetti. E poi, ecco, mi ha dato il resto, con le mani aperte protese in avanti come se mi volesse fare un regalo bellissimo a sorpresa, e quindi quel sorrriso che mi ha fatto mancare la terra sotto i piedi da lì in poi. Anche ora quando mi avvicino al bar mi sembra che in quella zona ci sia un pericolo. E' come se ci fosse nascosta una botola lì attorno, di cui ora non ricordo più la posizione ed ho paura anche solo a camminare da quelle parti, mi sento precario..
L'angolo invece è sicuro.. di qui non mi può vedere, ma io non posso rimanere al di qua dello spigolo tutta la sera. Le sono appena andato a chiedere una bottiglietta d'acqua, e sono rimasto lì impalato come un idiota senza riuscire a pensare neanche una parola decente, come un cretino qualunque.. Non ho avuto neppure il coraggio di guardare di nuovo quel suo sorriso meraviglioso perchè avevo paura di ricadere di nuovo nella botola. Che poi non era una botola quella in cui ero caduto.. Volendo essere limpido e puro con pensieri e ricordi, mi ricordo invece benissimo che dopo quel gesto e quel sorriso il mio cuore si era invece aperto come non aveva fatto mai. La sensazione è stata quella di aver avuto nel petto una aquila che avesse deciso di spiegare le ali proprio in quel momento, dopo tanto tempo che se ne stava appollaiata al sole: il fatto è che da chiusa poi non sembrava cosi' grande. Perchè nella vita bisogna sempre essere sinceri, sopratutto con se stessi, se no poi le cose si confondono e le bugie rischiano di essere prese per realtà. Ora vado là e le dico: "Prima non avevo avuto il coraggio di dirtelo, te lo dico ora.. hai un sorriso stupendo. Ci tenevo a dirtelo, solo questo.." ed eventualmente andarmene via con un sorriso.. Ma c'era sempre qualcosa a disturbare quella scena.. qualcuno un po' sguaiato li attorno, la mia codardia che mi fermava, i suoi occhi molto stanchi e leggermente tristi, eppure bellissimi anche in questa situazione: elegante anche nel disagio, un altro battere d'ali dell'aquila. Ma credo che sia stato quello che mi ha detto l'altra sera quando le ho chiesto se le piaceva quel che vedeva. La pista dinnanzi a lei era colma di ballerini di tango abbracciati che si muovevano in tondo, in senso antiorario come in tutte le milonghe del mondo. Credo sia stato proprio il modo in cui l'ha detto: "Ma quella è poesia.." - Gli occhi le brillavano ed aveva un sorriso delicato e timido, come se non si osasse a chiedere per se stessa così tanta bellezza.. E' stato un pò come un incontro di pugliato dove uno dei due pugili, per ingoranza della vita, sottovaluti l'avversario, e questi dopo un paio di jab "di conoscenza", lo mandi al tappeto con una naturalezza imbarazzante, senza faticare, senza quasi impegnarsi. E le è bastato un sorriso..

White Clay

mercoledì 30 giugno 2010

Lo Sguardo


Sono un po' sudato, ma l'aria fresca del parco che mi passa sotto la camicia mi da il sollievo giusto. Sento le mie gambe forti perchè hanno appena smesso di ballare ed è gradevole spostarsi su di loro. Sono anche leggermente stanco e non credo di essere stato bravo quanto avrei voluto, il senso di costante insoddisfazione comincio ormai a considerarlo tra gli amici più fidati. Esco dalla pista e le giro attorno, c'e' un piccolo selciato circondato dall'erba che costeggia la pista e passa vicino ed in mezzo ai tavolini di quelli che ora fanno da pubblico. Non faccio in tempo a girare l'angolo che percepisco la sua presenza: una bellissima donna ad un tavolino un poco più in là. E' un tuffo al cuore e non l'avevo vista prima. Le mie gambe continuano a  procedere sulla rotta che era stata impostata prima, volevano circumnavigare la pista ed andare a salutare il mio maestro di ballo. Lei sta guardando nella mia direzione, ma dev'essere una coincidenza,  sicuramente sta guardando qualcuno dietro di me o semplicemente non sta guardando da nessuna parte. I suoi occhi sono neri scuri come anche le sopracciglia, i capelli ricci neri, folti, lunghi e composti: ho  l'impressione di trovarmi davanti al volto di una regina greca o egiziana, il suo sorriso è dolcemente  elegante. La corporatura è proporzionata ed aggraziata, una parte dei miei istinti l'aveva intuita in tutta la sua interezza anche da seduta, anche in un attimo solo, anche nel suo vestito nero. La mente ora è spaesata, non riesce a gestire l'enorme flusso dei dati, ma in fondo confida che presto, girato l'angolo, tutto svanirà: acuto pensiero intenso non può avere vita lunga. Da questo momento in poi il tempo rallenta. Tutto si dilata: posso sentire i muscoli delle mie gambe muoversi ad uno ad uno, posso contare ogni singolo sassolino dal selciato che deforma la suola delle mie scarpe da ballo, posso sentire il profumo di tutte le erbe e le piante che danno l'aroma all'aria che sto respirando.. Lei continua a guardarmi, dritto negli occhi e mi sta sorridendo. Un classico, ho qualcuno dietro che lei conosce. Ad ogni centimetro in meno della distanza che ci separa il suo sorriso aumenta di un poco la sua intensità; detesto le illusioni, in particolare per via del senso di baratro che ti lasciano poco dopo essersene transitate. Mi sta proprio sorridendo ed ora si sta per alzare in piedi, la direzione la mia. Sento dei passi alle mie spalle, non mi ero sbagliato, devo avere qualcuno dietro a cui è molto affezionata e lo sta andando a salutare. Ora le nostre rotte stanno per intercettarsi, ed io mi preparo allo scarto per farla passare.

Mi abbraccia con l'affetto con cui si abbraccia un figlio e mi bacia delicatamente su una guancia: "Ciao White, volevo scusarmi per l'altra sera.." - Merda è un sogno - Questo è il primo pensiero nitido che lampeggia nella mia mente all'istante.. Ma sono sudato, sento il fresco, i miei muscoli rispondono ai comandi con molta precisione, e posso sentire i suoi fianchi nell'abbraccio che ho ricambiato istintivamente. No è reale. Per fortuna continua: "Quando l'altra sera mi hai chiesto di ballare ed io ti ho detto che non ero capace, poi invece quel signore ha insistito così tanto che non sono riuscita a rifiutare.. scusami davvero..". La vicinanza del suo viso mi scuote ancora l'anima. Le sorrido, le rispondo, balliamo. Ancora una volta sono in debito, prima o poi credo che dovrò restituire quel che ho ricevuto.

White Clay

venerdì 25 giugno 2010

99%

Ci sono alcune idee che condivido con White una di queste potrebbe avere la forma di un teorema. Il Teorema del 99% afferma che  il successo in ogni sfida o progetto che si affronta dipende dall'ultimo 1%, da quel particolare a cui non avevi pensato, da quel merdosissimo imprevisto che capita quasi sistematicamente.
Da un paio d'anni conscio di questo potente teorema, ogni volta  che pianifico qualcosa, aspetto il mio 1% e quando arriva...perchè arriva sempre , sono preparato, o almeno mi sembra.

Simone Mago

lunedì 7 giugno 2010

Odiavo i Lunedì

La frase che più spesso mi capita di sentire alla domenica pomeriggio è "Oddio domani è Lunedì, che palle si torna a lovare", per un po' anche io l'ho detto, poi mi sono fermato a fare due conti...come al solito.
Il primo risultato è stato 8-8-8, otto ore di sonno (più o meno) 8 ore di lavoro (forse qualcosa in più) e 8 ore di spostamenti, pulizia personale e non, nutririsi e altre cose. Fatto questo mi sono spinto un po' oltre e mi sono accorto che tutte le attività che avrebbero reso il mio lunedì un bel lunedì erano compresse in "altre cose", quindi stavo spendendo un terzo della mia vita per riposarmi in preparazione di un altro terzo del quale mi fregava poco  o niente per poi godermi finalmente un pezzetto di quello che realmente avrei voluto fare, un bilancio decisamente negativo.
Così armato di un'ignoranza quasi primordiale ho deciso di licenziarmi e ho potuto vedere applicato il proverbio "La fortuna aiuta gli audaci" in 10 giorni il primo colloquio, un posto decisamente bello, lavoro interessante nemmeno troppo lontano da casa, ma ancora non rendeva il mio lunedì degno di essere atteso, così non ho accettato e sono stato costretto a capire cosa realmente avrei voluto fare dei miei lunedì e di quelle 8 ore.
Forse l'ho trovato, vedremo.

 Simone Mago