sabato 28 agosto 2010

Nel Dojo [2^parte]

Il dojo a differenza degli spogliatoi non è climatizzato, quindi ogni gradino che salgo per avvicinarmi all’ingresso mi fa apprezzare sempre di più il caldo e l’umido di questo clima tropicale. La sala è all’ultimo piano dell’edificio, il legno del pavimento è talmente lucido e pulito da riflettere il colore verde pastello delle pareti, sembra uno stagno e mi dispiace calpestarlo. A sinistra dell'entrata ci sono delle finestre da terra al soffitto che permettono di vedere i tetti delle case, qui non ci sono grattaceli ma solo casette di due o tre piani, alcune con i panni stesi altre con i futon buttati oltre la balaustra del balcone. Con un po' di coraggio faccio un passo, entro...un inchino e sono in un altro mondo, ora riesco a sentire il profumo del legno, il suono dei piedi sul pavimento e del cotone delle divise, il caldo è tropicale: bollente e umido, il buon senso vieterebbe di "riscaldarsi" come stanno facendo gli altri e tantomeno di allenarsi tutto il pomeriggio, ma oggi ci si fa male. Come da tradizione passo a presentarmi con tutti, inchini, qualche stretta di mano e inizio a fare stretching per conto mio, dopo 5 minuti sono già bisognoso di una doccia e non vedo l'ora di attaccarmi alla bottiglia di acqua e polase, ma la devo dosare, l'allenamento è lungo e l'acqua poca.
Dopo un paio di inchini si inizia con il riscaldamento vero e proprio, poi si passa alle tecniche. 
Quando si inizia a sentire la fatica la si può localizzare in un punto preciso, un braccio, le spalle, oppure le gambe, conosco gli effetti e ormai li aspetto, dopo un po' smette di essere localizzata e diventa un malessere diffuso e il caldo umido accelera la transizione e ne amplifica gli effetti. La casacca è completamente bagnata, come se fosse stata immersa in una tinozza d' acqua, le gambe stanno perdendo di elasticità e il pensiero oscilla tra il dolore fisico e la concentrazione necessaria per la tecnica...sto iniziando a farmi male. 
Dopo una breve pausa per bere inizia il lavoro a coppie, così inizio a guardarmi attorno in cerca di un compagno, incrocio lo sguardo di Kenshin ed è chiaro che mi stava cercando....oggi ci si fa male. Kenshin è uno degli assistenti più esperti, avrà circa una quarantina di anni e nonostante sia il più giovane tra gli assistenti è rispettato anche dagli anziani, ha un fisico robusto con braccia e mani forti, lo sguardo è sereno e fiero come quello di un samurai...o meglio di come io lo immagino. Dopo qualche decina di minuti di tecniche abbastanza complicate passiamo alle prese, afferro Kenshin per il bavero lui si libera e mette in leva il mio braccio, il dolore lo sento partire da polso e arrivare fino al gomito, ma riesco ancora a muovere la spalla così riesco a liberarmi chinandomi e passando sotto le sue braccia che mi stanno spremendo la mano...ce l'ho fatta l'ho fregato, ora è lui in leva, ancora qualche secondo e non avrà spazio di manovra, ma quasi all'ultimo istante si butta a terra assecondando la mia leva e io mi trovo proiettato in aria....sono messo male, sto per farmi male. Quando atterro il legno non mi sembra tanto bello come all'ingresso nel dojo, sono a terra, Kenshin si è rialzato e mi guarda sorridendo...mi ha fregato ancora, aspetto qualche secondo prima di muovermi in modo da far passare il dolore dalle ossa e dai muscoli, cadere da stanchi è il peggio non si ha nemmeno quel minimo di energia necessaria a rendere la caduta "rotonda", così all'impatto con il terreno ogni spigolo del corpo riceve la sua dose di dolore...oggi mi sono fatto male.
Dopo più di tre ore di fatica l'ultima caduta mi ha dato il colpo di grazia, ma almeno sono riuscito ad arrivare alla fine della lezione, trangugio l'ultimo sorso di acqua ormai a temperatura ambiente, sembra di bere del brodo, la finisco non per il piacere di dissetarmi ma per evitare di lasciarne un goccio nella bottiglia. 
Non vedo l'ora di buttarmi sotto la doccia, forse l'acqua fresca mi aiuterà a capire come ho fatto a finire ancora una volta con il sedere per terra con Kenshin che mi guarda dall'alto sorridendo.


....Continua


Simone Mago

sabato 7 agosto 2010

Nel Dojo [1^parte]

Il sole entra da uno spiraglio delle tende, è ora di alzarsi, cercando di evitare le valigie raggiungo la finestra, la gente sta già correndo nella stazione della metro, a giudicare dal sole e dalle facce delle persone fuori deve fare davvero caldo...oggi ci si fa male.
Ho tutto il tempo di preparare la borsa con calma, dogi, cintura, accappatoio (che qui nessuno usa) e tutto il resto, me la carico sulla spalla e esco dalla stanza. All'uscita dell'albergo mi preparo alla botta, sto per passare dai 20° dell'aria condizionata ai 30°umidi di Tokyo, prendo un respiro cercando di trattenere il fresco e le porte automatiche si aprono, faccio 10 metri verso la stazione è ho già bisogno di un'altra doccia....oggi ci si fa male. Il percorso ormai lo conosco bene, hotel, metropolitana, qualche fermata e un paio di vie nei sobborghi e si arriva al dojo. Esteticamente parlando sono quanto di più lontano dal giapponese medio eppure, mentre cammino immerso in questo stormo di impiegati, studenti, casalinghe e pensionati mi sento perfettamente mimetizzato, a mio agio, potrei quasi addormentarmi sulla metropolitana, ma adesso non posso, devo essere sveglio, pronto a reagire...oggi ci si fa male. Finalmente sono arrivato alla stradina che mi porta al dojo, l'aria condizionata della metropolitana è un lontano ricordo, sento il caldo dell'asfalto attraverso le scarpe, non vedo l'ora di toglierle; appena entrato nella palestra eseguo il solito rito con maniacale precisione, non vorrei fare incazzare nessuno, mi tolgo le scarpe all'ingresso, le appoggio in un armadio e vado a prendere una chiave per l'armadietto negli spogliatoi e come sempre il portinaio sgrana gli occhi quando firmo il foglio delle presenze. Per paura di arrivare tardi sono in tremendo anticipo, ho il tempo per mangiare qualcosa ,così seduto sulle poltroncine all'ingresso con i piedi appoggiati sul pavimento fresco, mi divoro un paio di onigiri aiutandoli a scendere con un the freddo amaro, ho bisogno di energie...oggi ci si fa male. E' ora di prepararsi,  inizio a cambiarmi nello spogliatoio davanti al mio armadietto e  provo la solita sensazione piacevole che mi accompagna anche qui, così lontano dalla solita palestra, durante il "rito" della vestizione. I pensieri del quotidiano se ne vanno mi concentro solo i gesti di quel momento, mi infilo i pantaloni e poi la casacca mi piace sentire il cotone fresco sulla pelle, stringo la cintura un paio di  boccate di aria condizionata e sono pronto a salire le scale che portano al dojo...oggi ci si fa male.


....Continua

Simone Mago

venerdì 6 agosto 2010

La mano sul pavimento

Qunado vieni colpito allo stomaco durante un incontro di box e per caso proprio in quel momento avevi gli addominali rilassati, ti accasci come un cuscino vuoto. Non puoi fare altro che inginocchiarti e piegarti su te stesso, consapevole che prima o poi passerà, anche se magari ora non ti sembra. Fai qualche timido respiro.. e piano piano poi il sangue e il fiato ricominciano a circolare come prima, un colpo di tosse e tutto riassume la sua dimensione - "Asino!! Ti sei fatto fregare proprio come un asino.. Vediamo di non ripetere l'errore a breve.." - Hai ancora 6 secondi per riprenderti, che magari da fuori possono sembrare pochi, ma per il tuo metabolismo, per il tuo allenamento, per la tua energia sono un riposo di lusso durante un match - "Perchè sono venuto qui? Tu lo sai perchè siamo venuti qui.. perchè il tuo fisico sta bene, ed ha voglia di combattere, null'altro.. solo per vedere chi è il piu' forte, chi ha più volontà, chi si è allenato meglio" - "E allora, visto che mi sono preso la briga di mettermi le scarpe, i guantoni e il paradenti forse è il caso di pareggiare i conti con lucidità, senza lasciare nulla al caso". Appoggio la mano sul pavimento, prendo un altra boccata d'aria per riposare e mi alzo - "Dov'eravamo rimasti..?".

White Clay