lunedì 13 settembre 2010

Nel dojo [3^parte]

La doccia spesso è la parte migliore dell’allenamento, o almeno quella che dà maggiore soddisfazione specialmente in quelle giornate in cui si finisce spesso con il culo per terra. In Giappone per quanto mi sforzi di essere veloce nel fare la doccia sono sempre l’ultimo, i giapponesi hanno uno strano rapporto con il bagno, sono estremamente puliti, ma se da un lato amano stare immersi in una vasca di acqua bollente per ore dall’altro sembrano detestare la doccia, la vivono come un obbligo più che un piacere. Anche questa volta sono l’ultimo ad uscire dagli spogliatoi, qualcuno se ne è già andato, così lascio le chiavi dell’armadietto all’ingresso e recupero le scarpe e anche in questo, neanche a dirlo, i giapponesi hanno una tecnica speciale, se le infilano in tempi record, io invece arranco e saltello con il tallone ancora fuori.

ramen

Alla fine riesco ad uscire dalla palestra, molti sono già sulla via di casa, ma Kenshin mi sta aspettando, decidiamo di andare in una spaghetteria specializzata in Ramen. Il ramen è stato importato dalla Cina molto tempo fa ed è diventato tra i piatti più popolari in Giappone e uno dei miei preferiti.  Per i giapponesi la preparazione del ramen è diventata un’arte (come in molti altri casi) e dentro una fondina di spaghetti non c’è solo pasta ma una filosofia. Il locale è piccolo, con pareti in legno scuro, c’è un bancone al centro con pentoloni fumati appena visibili, i clienti si siedono intorno, consumano la loro zuppa e se ne vanno. Noi ce la prendiamo comoda, ordiniamo doppia dose di spaghetti e iniziamo a chiacchierare spaziando dalla cottura della pasta alle arte marziali. Il caldo si sente ancora, ma davanti ad una tazza di the verde freddo è molto più sopportabile, parliamo e beviamo fino all’arrivo degli spaghetti.  Kenshin mi fa notare che dentro la fondina c’è una sintesi del Giappone, il mare rappresentato dal pesce e dalle alghe, il cielo dalla carne di pollo e uova, le montagne con funghi e carne di maiale, il tutto armonizzato con il brodo e gli spaghetti, il pasto non va solo mangiato, ma anche osservato e quindi anche la vista deve avere il suo momento di godimento. E così tra uno spaghetto, un’alga e un pezzetto di carne Kenshin mi ha rifilato il “compito per casa” .

Continua

Simone Mago

giovedì 9 settembre 2010

Il ballerino con gli occhi chiusi


Perchè tenerli aperti più del necessario. Ovvero quel tanto che basta per fare una previsione dei movimenti e poi basta. Viene forse dalla retina quel meravoglioso turbinio di sensazioni ed emozioni che si percepiscono stringendo la passione e l'ardore di una bella donna al petto? Viene forse dagli occhi quella sensazione di percezione dell'interezza del suo corpo, in tutta la sua morbidezza o nel incedere sensuale del suo passo assieme alla torsione dei busti? Viene allora dallo sguardo la percezione del ritmo, della frase musicale, dei passi che si appoggiano guidati dalla melodia? Ora, capisco che la tradizione e la scuola debbano dire di tenere gli occhi aperti, perchè se dicessero che si possono chiudere, di fatto autorizzerebbero gli autoscontri.. Ma io che ho più sensi con gli occhi chiusi che con gli stessi aperti, non posso espandere la mia anima fino all'infinito se ne vedo i confini.. non posso percepire ogni suo singolo sussulto, se devo guardare altrui o il pubblico.. Un'occhiata fugace, ecco al più ciò che mi posso permettere.. una visione che non vede, se non presenze o ostacoli seppur che tutto è movimento..

White Clay